giovedì 25 febbraio 2016

Nulla mi nega...





"Il giovedì per me è una giornata di cielo, per cui nulla mi nega il Signore di quanto gli chiedo"
Suor. Elia di San Clemente

mercoledì 24 febbraio 2016

Intimità con Dio e conoscenza di sé

Il restare in intima orazione con Gesù, come insegna la santa madre Teresa d'Avila, di cui segue le orme, rivela a Elia di San Clemente, giorno per giorno, nuove verità. La giovane carmelitana se ne rende conto e scrive con gratitudine, il 24 febbraio 1923:
"Mio dolce Signore come si vedono diverse le cose al chiarore Divino e come si comprende profondamente questa verità e che a nulla valgono le lodi umane e l'anima è tale quale dinanzi al Vostro cospetto..."

martedì 23 febbraio 2016

Conosco la Tua sete Signore...

Il 19 febbraio 1923 Suor Elia scriveva:

Il Buon Gesù stringendo l'anima al suo Divin Cuore le fa sentire i palpiti ardenti del Suo amore e le comunica l'arsura che lo tormenta, da farlo esclamare "sitio". O mio unico amore, la Vostra sete è sete di anime, ebbene concedete a questa povera mia di condurvene un numero infinito...

lunedì 22 febbraio 2016

Grata dei divini favori

Il 22  febbraio 1923 Suor Elia scriveva:
Gran Dio il piccolo fiorellino si china sul suo stelo carico della Benefica pioggia dei Vostri Divini favori...Abbassandomi nella polvere intendo lodarvi di quante prove di delicato affetto nutrite per la piccola anima mia...E che ho fatto io per Voi?

domenica 21 febbraio 2016

Un promemoria per sé e per gli altri

Il mio programma: Fare sorridere Gesù... dimenticandomi e lasciandomi dimenticare.
Il mio ideale: Consumarmi nel silenzio d'ogni cosa creata e nell'oblio di me stessa.
La mia delizia: Compiere con ilarità l'adorabile volontà di Dio.
La mia brama: Condurre anime a Dio: col silenzio, con la preghiera, col sacrificio ininterrotto... con la distruzione di me stessa.
Il mio desiderio: Possedere mille cuori per ardentemente amare il buon Gesù, e mille lingue per cantare le sue infinite misericordie...
Il mio motto: O dolce carità del mio Dio, feriscimi... attirami a Te!...
Perché il buon Dio sia conosciuto da tutti, è necessario che io mi «dissi, mi annienti, mi distrugga... e che la mia distruzione sia totale... Ma non basta che sia conosciuto il buon Dio, bisogna che sia amato e per ottenere questo, occorre che io sia dimenticata completamente dalle creature e da me stessa.
Suor Elia di san Clemente

sabato 20 febbraio 2016

Elia e la Misericordia di Dio

 In quest'anno della Misericordia incontreremo tanti uomini e donne di Dio che, con le loro intuizioni, la loro vita, le loro parole, i loro sacrifici hanno annunciato l’abbraccio del Padre che a volte è perdono, a volte consolazione, a volte tenerezza infinita.
E' una esperienza vissuta anche dalla beata Elia di San Clemente che nel proprio diario confidata il suo più grande desiderio:
"Possedere mille cuori per ardentemente amare il buon Gesù, e mille lingue per cantare le Sue infinite misericordie"

venerdì 19 febbraio 2016

Dio ci parla con il Creato

 Dagli scritti della B. Elia:
"Gesù mi è sempre vicino, mi conosce bene e sa che io l'amo anche senza che io glielo dica. Mi segue dovunque io vada, senza stancarsi, mi pensa sempre, mi ama! E quest'immenso amore che mi porta, me lo dice tutto il creato e tutto ciò che mi circonda".
Andiamo oltre la bellezza di questo passo, attualizziamolo con un documento del Magistero della Chiesa, l'enciclica di papa Francesco "Laudato si",leggiamo il n. 12 in cui il Papa  scrive:

"San Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5) e «la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode".

Ecco, suor Elia ha sin da piccola avvertito nella bellezza che la circondava, la tenerezza e la generosità del Signore. E' un grande insegnamento, un invito alla speranza, al sentirsi amati; ma anche al rispetto della natura che è specchio dell'amore che Dio ha per le sue creature.

giovedì 18 febbraio 2016

Suor Elia racontata ai laici (6)

Elia, come Fiamma viva

Il cammino di Suor Elia volge al termine, il desiderio di perdersi in Dio lo porta sempre nel cuore. Dio è al centro della sua vita:
“Dio!
Centro del mio essere, meta dei miei sospiri.
Dio!
Riposo della mia intelligenza,
quiete dei miei affetti,
mio primo ed ultimo fine”.

     Suor Elia non conosce la teologia come San Giovanni della Croce, ma come lui sente nell’anima la risultante d’amore che le portava Cristo, il suo bacio, spirito a spirito, che lascia l’immagine dell’Amore che si dona. Ed ecco i frutti di questo insegnamento: la croce nella soavità dello spirito: “Cercherò di avere il sorriso sulle labbra per rendere felice chi mi circonda”.

“Come nettare soave l’amore mi invade, questo amore misericordioso mi penetra, mi purifica, mi rinnova e sento che mi consuma”.

     Siamo all’esperienza della “Fiamma viva” di san Giovanni della Croce:
“O fiamma d’amor viva,
che soave ferisci
dell’alma mia nel più profondo centro!”
“Questa fiamma d’amore, -dice san Giovanni della Croce-, è lo Spirito del suo Sposo, cioè lo Spirito Santo, che l’anima sente già in sé non solo come fuoco da cui è consumata e trasformata in soave amore, ma anche come fuoco che arde in lei e getta fiamme, le quali a loro volta irrorano l’anima di gloria e la temprano di vita divina”.                
 E’ l’unione con Dio che trasforma l’anima e la rende divina.

     La storia di Suor Elia è una storia breve, ed ora sta per giungere alla fine. Porta già il male che la porterà alla tomba. Non ne conosce la natura e non lo considera affatto cattivo. Lo chiama addirittura “il fratellino”. E’ un forte mal di testa che comincia a tormentarla dalla fine del 1926 e non l’abbandonerà più. Questo mal di testa non le consente lunghi  discorsi. Secondo alcune sorelle questo mal di testa se l’è messo in testa lei, Suor Elia. E invece soffre terribilmente senza lamentarsene con nessuno. Ma chi le è vicino di cella o per lavoro non può non accorgersene.

     Dice suor Teresa di Gesù: “Mi accorgevo che doveva soffrire molto, specie per la sua estrema debolezza dopo l’influenza nella quale le sembrava, e non soltanto a lei, di doversene andare in Paradiso”. Guarita dall’influenza, sebbene non completamente rimessa, riprende tutti i suoi lavori come prima. Continua la stessa Suor Teresa di Gesù: “Una volta la incontrai vicino alla terrazza e, vedendola tutta accesa in viso, con gli occhi luccicanti, quasi febbricitante, mi feci coraggio e le dissi: «Fammi il piacere di andare adesso stesso da nostra Madre e riferirle tutto quello che soffri. E’ impossibile che tu possa continuare in questo modo».

     Suor Elia va dalla Priora, le dice del mal di testa e la Madre fa una diagnosi molto sbrigativa: lo sforzo della vista le procura il mal di testa. Rimedio: un paio di occhiali che la Madre ha in un cassetto… Suor Elia è diventata segno di contraddizione nella comunità, ma La Madre Maddalena, fondatrice e sottopriora, non riuscendo a rassegnarsi a quanto alcune consorelle vanno dicendo sul suo conto, non lascia occasione senza lodarla e questo suscita reazioni diverse nelle consorelle.  La cella, quindi, diventa un esilio. Lo confida al direttore spirituale P. Elia: “La cella è l’unico rifugio che mi è rimasto, l’unica mia gioia nel deserto di questa vita” “Non credevo di soffrire tanto se non a ragione del mio gran desiderio di salvare le anime”. La sua forza è la preghiera e il silenzio, e la certezza che quella sofferenza è il suo contributo per la salvezza delle anime.

     Prima di iniziare l’Avvento, mamma Pasqua va al Carmelo per salutare le figlie carmelitane che, durante quel periodo di penitenza e di particolare ritiro claustrale, non potrà più rivedere. “Arrivederci a Natale” dice la mamma, salutando dopo la loro conversazione. E Suor Elia risponde sorridendo: “Chissà se ci rivedremo! Certamente però in Paradiso!” E la madre: “Eh!, tu sempre con queste chiacchiere…, pensiamo a vivere”.

     Incomincia la novena di Natale con tutta la comunità. La novena di Natale è tutta una festa al Carmelo per le processioni di Gesù Bambino lungo i chiostri, quando l’immagine viene accompagnata nella cella della suora fortunata che lo accoglie per una intera giornata.

     Il 21 dicembre, a vespro, il dolore di testa diviene irresistibile. Esce dal coro. Quando Suor Celina va in cella, la trova tutta rannicchiata sul letto, con forti brividi e conati di vomito. “Questo  dolore di testa è di morte” dice alla sorella, ma non le permette di andare dalla Priora a chiedere il permesso di mettersi a letto. Ci andrà lei. Prima, però laverà il pavimento della cella. Poi, si mette a letto, Suor Celina le misura la febbre: 39½. Suor Elia se ne rallegra perché non aveva abusato di un permesso. L’indomani la febbre scompare e le Madri si convincono maggiormente che c’è di mezzo “il fatto nervoso” e non ritengono necessario chiamare il confessore, come Suor Celina ha richiesto.

     Il venerdì sera, antivigilia di Natale, suor Celina viene dispensata dal mattutino in coro, perché possa rimanere con la sorella. È la sera dell’ultimo colloquio di Suor Elia, la quale, presentendo sempre più vicina la fine, le darà dei consigli: di non essere addolorata della sua fine, ma di accettare tutto come volontà di Dio. Inoltre, manifesta il desiderio che, subito dopo la morte, la stessa suor Celina possa aiutare le altre a trasportare la bara, in modo da dare così segno di fortezza cristiana.

     La notte la priora va a visitare l’inferma, ma la stessa pur avendola accolta con gratitudine e gioia, non sa fare altro che dire: Nostra Madre…Nostra Madre. Il volto è teso dallo spasimo. Suor Celina dirà: È gravissima, morirà presto!. Anche in questa occasione c’è un gruppetto di suore “sapute” che si intendono bene e… riescono a tranquillizzare le Madri: No, non è niente di serio… “fatto nervoso”. E le Madri si rincuorano e attendono più serene il gaudio della vigilia natalizia.

     Suor Elia trascorre la notte agitatissima. Brucia tanto che chiede di metterle un pezzo di ghiaccio sul petto e dice alla sorella: “Suor Celina, mi sento così nelle fiamme che mi pare di soffrire le pene del purgatorio”. Suor Celia la mattina della vigilia va in coro per l’orazione e il canto di Prima. Dopo il canto del Martirologio, ritorna dall’inferma e la trova che non parla più speditamente, ma a denti stretti: “Mi sento male… mi avvicino all’eternità”, riesce a dire a fatica. Viene chiamato il medico che diagnostica: incipiente meningite o encefalite. Nel pomeriggio peggiora ancora.

     È la sera della vigilia di Natale. La comunità del Carmelo rivive il mistero più dolce della storia della salvezza e del mondo. Nella sua celletta, circondata da Suor Celina, Suor Teresa ed un’altra suora, Suor Elia è in coma. A mezzanotte, Suor Celina viene chiamata in coro per la Messa di Natale, canterà con le consorelle l’«a solo». In chiesa ad ascoltare la Messa, c’è il papà, ignaro di quanto sta accadendo.

     La mattina, la Priora, la quale fino all’ultimo non ha creduto alla gravità del male, telefona al cognato di Suor Elia, chiedendogli di inviare il dottor Balacco, medico di famiglia, per una visita a Suor Elia, che non sta molto bene. Ma non ci sarà nulla da fare. Le viene somministrato il sacramento dell’Unzione degli infermi.

     Il papà, si reca al monastero per vedere le sue figlie monache e per strada incontra il dottor Balacco che gli riferisce della figlia morente. Alla notizia, il povero genitore cade per terra svenuto ed è lo stesso dottore ad accompagnarlo a casa. L’arcivescovo. Mons. Curi, ordina che alla famiglia venga concesso di entrare in clausura ed assistere la morente. Verso le undici entreranno nella povera cella la mamma, il fratello Nicola e il cognato Saverio Centrone. La sorella Prudenzina è rimasta a casa ad assistere il padre. Mons Samarelli prega vicino all’inferma. La mamma chiude nel cuore tutto il suo dolore. Sul monastero scende lo sgomento che Suor Elia ha previsto.
A mezzogiorno, dopo un lungo sguardo al suo Crocifisso,
Suor Elia vola tra le braccia di Gesù!

     Le campane del monastero e della città suonano la gloria del Natale.
     Si verifica quanto aveva preannunciato: “Morirò in un giorno di gran festa”.
     È il  25 dicembre del 1927.

     Le monache passano, pensose, davanti alla cella dove Suor Elia ha consumato il suo martirio. Qualcuna dice:”ha finito di soffrire”, “è in Paradiso”, Era un angelo”, “Sorrideva sempre”.

     Nel pomeriggio l’arcivescovo viene a visitare la salma. Sosta un momento in preghiera e poi ricordando il nome con cui Madre Maddalena, l’aveva tante volte presentata in parlatorio dice: “Ecco la mammoletta che ora incomincia a spandere il suo profumo, sarebbe il caso di recitare il “Gloria” invece del Requiem… ma uniformiamoci al giudizio della Chiesa”.

     Le esequie si celebreranno il 26 dicembre, festa di Santo Stefano protomartire. La salma, composta nella bara scoperta, viene trasportata nella chiesetta del monastero. Tanta gente accorre a venerare la giovane monaca, morta a ventisei anni. P. Elia, a Monza, riceverà lo stesso giorno la sua ultima lettera che gli augura il Buon Natale e il telegramma che ne annuncia la morte.

     Il 18 marzo del 2006 nella Cattedrale di Bari verrà celebrata la sua Beatificazione.



 Angela Parisi, ocds 6 - fine

mercoledì 17 febbraio 2016

Suor Elia raccontata ai laici (5)

Amare - Soffrire - Immolarsi


Nel frattempo il Carmelo di via De Rossi, ha annesso un educandato gestito interamente dalle religiose carmelitane, insegnanti ed istitutrici. Il livello è di scuola media inferiore e superiore ad orientamento letterario, ma vi si insegna anche ricami, musica vocale e strumentale: quanto allora si riteneva adeguato alla formazione di giovanette di buona società.

Nell’anno scolastico 1923-1924, Suor Elia viene assegnata all’educandato come istitutrice e maestra di ricamo: attività a lei molto congeniali, Nel ricamo, soprattutto, è espertissima. Così a 23 anni, Dora Fracasso, col diploma della terza elementare, si trova ad essere maestra fra le sorelle di altra estrazione sociale e di altra formazione culturale. Anche questa è una via di Dio.

     Le sue giornate sono completamente cambiate, ma non cambia il suo impegno interiore. Continua ad alzarsi la mattina un’ora prima della comunità, per attendere alla preghiera personale; poi prima delle sei, esce dalla sua cella per intraprendere la sua giornata all’educandato. Non sarà facile il suo compito di maestra, ultima arrivata, fra tante sorelle più esperte di lei e, soprattutto, più preparate di lei culturalmente. Ma le alunne le si affezioneranno subito. Quando Suor Elia dice al Signore nella preghiera, di vedere nelle ragazze le immagini di Dio e, nelle più piccole, gli anni infantili di Gesù, è facile intuire quali fossero i suoi comportamenti con le alunne.

     Chi pensa che la vita di clausura è vita di quiete, di riposo negli ozi della contemplazione di Dio, mentre gli angeli e i santi del Paradiso popolano il deserto, non entri in monastero perché ne resterebbe deluso.

     Suor Elia il giorno della sua professione religiosa ha inquadrato la sua vita così:
Amare  -  Soffrire - Immolarsi.

     Così scrive: all’inizio del 1923:

     “Darmi tutta al Signore, senza alcuna riserva, slanciandomi nel campo del sacrificio generosamente, abbandonandomi ciecamente all’azione dell’amore, e prendere tutto e sempre dalle mani del mio Dio, senza investigare nulla… Esercitarmi nell’umiltà di cuore, vivendo sottomessa a tutti”.

     Cerca la croce per essere vicina al Cristo nell’austerità richiesta dalla povertà del Carmelo, dalle esigenze della sua vita contemplativa alla ricerca dell’unione con Dio. Teresa d’Avila diceva: “Orazione e trattamento delicato non vanno d’accordo”. “Non siete venute in monastero ad accarezzarvi  per Cristo, ma a morire per Cristo”.

     Per quanto venga amata dalle ragazze, c’è la direttrice, Suor Colomba che non  apprezza i suoi metodi di guida e di assistenza, perché nel suo stile educativo esige autorità, rispetto e grande disciplina. Origlia alle porte delle classi durante le lezioni.
   
     Incomincia per Suor Elia un momento difficile. Qualcuna va a riferire alla Priora che in ricreazione spesso si intrattiene a parlare con Suor Matilde, una sorella conversa che serve in educandato. Che cosa hanno da dirsi le due suore? E la priora le rimprovera per questa troppa confidenza. Suor Matilde si giustifica dicendo che parlano del Signore e del servizio che entrambe rendono alla comunità e alle alunne. E la priora conclude: “fate a meno di parlarvi”.

     Suor Elia si prostra con la fronte a terra, non dice parola e accetta l’umiliazione come mandata da Dio. E con Suor Matilde non parlerà mai più di questo fatto. Una quindicina di giorni dopo Suor Elia si ammala e dovrà mettersi a letto. La priora incaricherà suor Matilde di assisterla e farla da infermiera. Evidentemente o si era ricreduta o non aveva visto nulla di male nell’amicizia fra le due monachelle.

     Suor Elia non fa altro che parlare alle sue alunne di Gesù, della verginità, del Cielo soprattutto, della fugacità della vita, suscitando in esse un vero entusiasmo, che alla fine preoccupa la Direttrice, suor Colomba che si preoccupa dei pericoli di morbosità dai quali dovrà preservare le alunne. Intorno a Suor Elia si forma un ambiente di incomprensione e di isolamento tanto che  lei stessa non sa spiegarsi che cosa stia accadendo. La Croce, invocata e ricercata, ora le va incontro.

     All’alba dell’8 dicembre 1924, nella sua celletta-tenda dell’educandato, Suor Elia compie l’ultimo passo, a lei consentito, sulla via della  croce d’amore: “il voto del più perfetto”. Prima di formularlo chiede l’approvazione della Madre Priora e consigli al suo Direttore Spirituale, P. Elia di S. Ambrogio. Rasserenata da entrambi, scriverà con il suo sangue: “Mio Dio, per vivere con voi unita in più perfetto amore, faccio voto di fare ciò che al momento in cui opero mi sembrerà come il più perfetto e di maggior vostra gloria. Mio Dio, degnatevi di accettare questo mio sacrificio fino … e corroborare con la vostra divina grazia la mia debolezza, onde possa sempre piacervi. Amen…”. Non è ancora finito. Spilla ancora del sangue dal dito e continua a scrivere l’atto di offerta all’amore misericordioso di S. Teresa di del B.G.: “Per vivere in un atto di perfetto amore mi offro come vittima d’olocausto al vostro amore misericordioso, supplicandovi di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima i flutti di infinita tenerezza che sono racchiusi in voi, così possa diventare martire del vostro amore, o mio Dio!...”. Fin qui gli stessi sentimenti di Teresa del B.G. Poi Suor Elia lancia il suo ultimo grido all’amore implorato: “Tutto il mio amore ti dica questo sangue e la stessa esistenza che si spezzerà per te, mio Dio”. Bacia il piccolo foglio, fresco di sangue. Lo ripiega e lo pone sul cuore. Lì troverà Gesù nella Comunione. E’ la sua risposta all’Amore Crocifisso.

     Con questo spirito Suor Elia pronuncia i suoi voti solenni e riceve il velo di Sposa di Cristo.  La celebrazione avviene il giorno 11 febbraio 1925, festa della Madonna di Lourdes. La velazione di Suor Elia sarà come quella di Teresa del Bambino Gesù, “velata di lacrime”. Scrive al suo Direttore Spirituale: “più non desidero di questa vita che consumarmi d’amore e sparire ad ogni sguardo umano”. Sparire… La parola suscita echi diversi: un abisso d’amore divino che attrae… ma anche un mondo che scruta e indaga: sguardi sospettosi e diffidenti che fanno male.

     Questo stesso anno 1925, il 15 agosto, la sorella Domenichina entra al Carmelo. Poiché non è ancora completata la nuova sala del monastero e le celle non bastano, Domenichina è posta nella stessa stanza di Suor Elia. E’ un dono di Dio, ma non alla sua sensibilità, perché Suor Elia non cercherà consolazioni dalla sorella. L’anno scolastico finisce e Suor Elia viene messa in vacanza per sempre. L’anno scolastico successivo, all’educandato non la vedranno più. Suor Elia non chiederà mai spiegazione del provvedimento. Obbedisce alla volontà della priora come alla volontà di Dio. Per lei tutto finisce lì, o davanti all’immagine dell’Ecce Homo, come le ha consigliato il buon P. Elia.

     Ma Suor Teresa Costanza, sua compagna di noviziato racconta che, dopo qualche tempo, nella bocca di Suor X si formeranno delle piccole cisti di natura cancerosa. La povera sorella viene operata e starà molto male tanto da somministrarle il Viatico. “Che non sia un castigo di Dio?”, le dice Suor Costanza. Suor Elia le fa cenno di tacere e le suggerisce di ripetere con lei: “Gesù, ora tu passi attraverso quella bocca; guarisci e perdona”.

     Uscita dall’educandato non le viene affidato nessun incarico dai superiori e molte sorelle si allontaneranno da lei. Come persona pericolosa e per non dispiacere a qualcuno? Tutte e due le ipotesi potevano sussistere. Per prevenire altre possibili gelosie non viene promossa consigliera data anche la giovane età. Solo nel 1927, ultimo anno della sua vita, viene nominata sacrestana, incarico che la rende felice perché la fa sentire ancora più vicina a S. Teresa di G.B. e le permette di dividere il suo tempo tra la cella e l’altare. Si realizza così un suo sogno: essere il più possibile accanto al Tabernacolo.       

 Angela Parisi (5 - continua)

martedì 16 febbraio 2016

Suor Elia raccontata ai laici (4)

Un' offerta all'Amore

Al Carmelo l’anno di noviziato è l’anno più bello della vita religiosa. Al Carmelo si viene per cercare Dio; come lo cercarono Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, Teresa di Gesù Bambino ed Elisabetta della Trinità. Come lo cercarono e lo cercano tante anime, in umiltà e semplicità di cuore.
     Il noviziato termina con la festa di S. Giovanni della Croce del 1921 e, nello stesso giorno Suor Elia entra in esercizi spirituali per prepararsi alla professione dei voti:
“Giovedì 24 novembre, festa del nostro S. Padre Giovanni della Croce, ore 8: entrai nei santi esercizi spirituali… sola ai piedi del mio Crocifisso Signore, lo guardai lungamente, e in quello sguardo vidi chiara tutta la mia vita. Le lacrime gli parlavano per me”. Il Crocifisso è quello che le hanno regalato le compagne dell’Istituto delle Suore Stimmatine.

     Amare – soffrire – immolarsi – è la sua vocazione, la vocazione propria del Carmelo, che suor Elia condivide con tutte le sue consorelle di ogni tempo. É la vocazione che Teresa d’Avila additò alle sue figlie come la forma più alta di apostolato contemplativo. Quel : “Tutto passa” viene annotato da Suor Elia e su esso riflette, tanto da scrivere: “Tutto si muta e si scolora e quasi ombra non lascia”.
Un suo riferimento preciso di formazione è il Castello Interiore.

     Il 4 dicembre 1921, dopo un anno di noviziato, di sperimentazione della vita religiosa, emette la sua professione che la impegnerà a seguire Cristo nella pratica dei consigli evangelici di obbedienza, povertà e castità, nello spirito proprio del Carmelo. La crisi che aveva preceduto la sua vestizione è ormai un lontano ricordo. Appare sempre più chiaro l’itinerario spirituale di Suor Elia: Dio al centro dell’anima, perduta nell’amore di Dio che diventa il suo mondo. Quello stesso giorno nei suoi Scritti registra un altro voto, ispirato dal modello di San Teresa  di G.B.: l’offerta di tutta se stessa, come vittima d’amore a Gesù Ostia vivente nei nostri altari:

“Io, Suor Elia di S. Clemente offro tutta me stessa al celeste Sposo dell’anima mia nel giorno solenne della mia professione e gli giuro eterna fedeltà, vivendo da vera sua eletta, non bramando quaggiù altro che il suo santo amore.
Perciò rinunzio fin da questo momento ad ogni amore sensibile, ad ogni soddisfazione, ad ogni minimo affetto, ad ogni gusto spirituale, per non vivere che di pura fede, amando, operando solo per Dio, immolandomi all’ombra di un profondo silenzio, quale ostia, vittima del suo amore, in ogni istante della mia vita”.

     Le parole dette nell’anima al momento della Santa Comunione, le porterà scritte su un foglietto di carta poggiato sul cuore. Il foglietto termina così: “Suor Elia di S. Clemente, Carmelitana Scalza al suo Gesù”.

     Dopo la professione religiosa e l’offerta all’Amore, incomincia un periodo tutto nuovo della vita di Suor Elia: un periodo di lavoro interiore molto intenso, che maturerà la sua anima per il Cielo che presentiva vicino. Lavoro intenso di Suor Elia, ma lavoro intenso anche e soprattutto, di Dio che la condurrà per il cammino della fede. Con le avventure che questo riserba per tutti, grandi e piccoli santi. Ed ecco che scrive alla Madre Maestra:
“Dopo dieci mesi di fitte tenebre e di perfetto abbandono del Cielo e della terra, dopo lunghi e terribili assalti del nemico infernale… la mia anima ha ritrovato la sua primitiva pace, per dir meglio, una pace intima e profonda, incrollabile ad ogni assalto… ora mi tocca vivere di pura fede”.

     È un nuovo stato di vita spirituale: un “cielo dell’anima”. Al posto del timore, “un coraggio e una forza che vengono solo da Dio”. Vede l’immagine di Dio in tutte le consorelle che, dirà, non sono che un raggio del sole divino. Vede Dio soprattutto nelle circostanze dolorose. Ogni mattina si alza tra le quattro e le quattro e mezza: “Gesù è solo in chiesa, vado a fargli compagnia” spiegherà alla sorella Suor Celina. Tutti i giovedì dalle 11 a mezzanotte, fa un’ora di adorazione nel coro. Le fa compagnia, col permesso della Madre maestra, Suor Teresa Costanza, sua compagna di noviziato.

     Suor Emmanuela, l’angelo del noviziato, dichiara:
“Dopo la Comunione era come un vulcano… Come “angelo”, le andavo innanzi e lei mi seguiva subito dopo; e sentivo che mi suggeriva all’orecchio queste parole:” Per vivere di fede e di abbandono bisogna andare a Lui, e continuava, mormorando tra sé: “Discendi nel cuor mio”(le parole del canto di Santa Teresina).

     Dopo la Comunione rimaneva immobile con gli occhi chiusi. Non si appoggiava mai alla spalliera del banco.
“La fede ardente” che Suor Elia promette a Cristo è luce che illumina il suo cammino:
“Lampada per i miei passi è la tua parola,
 luce per il mio cammino” (Sal 118,105).
 Se non cammini per quel raggio di luce, essa non ti illumina più e ti sperdi per la “selva oscura” della vita. È il rischio di tutti, che bisogna sempre ricordare per fuggirlo e rimanere nella luce. Ecco come Suor Elia si impegna con queste risoluzioni:
“Uguaglianza di umore.
Abbracciare sempre il più duro e il più penoso.
Parlare poco con le creature e molto con Dio
Non lasciarsi sfuggire le piccole mortificazioni della giornata.
Cercare con santa astuzia di vivere sempre sottomessa a tutti, anche all’ultima di casa…
Non scusarmi mai, anche quando alla ragione pare giusto e necessario.
Dire una preghiera speciale per la sorella che, involontariamente, mi abbia dato un dispiacere.
Cercare sempre l’ultimo posto, senza singolarità, e nascosta in Gesù, ritenere questa grazia speciale di cui non sono degna; perché allora lo sguardo di Gesù si posa sull’anima, quando la vede libera e nascosta in dolce silenzio, raccolta unicamente in Lui”.

 Angela Parisi ocds (4- continua)

lunedì 15 febbraio 2016

Suor Elia raccontata ai laici (3)

L’ingresso  al  Carmelo

    Il primo incontro col Carmelo avviene verso la fine del 1919, vicino alla feste di Natale. Dora, la sua amica Chiara e il P. Di Gioia vengono ricevuti nel parlatorio dell’educandato. Suor Clementina si apparta un momento con Dora e le chiede:
-         È vero che tu vuoi essere nostra sorella?
-         Oh!, sì, se mi accettate. È tanto bello il Carmelo!
-         Ma che ne sai, se non vi hai ancora messo piede?
-         Sto leggendo la vita di Suor Teresa del Bambino Gesù e me ne sono innamorata.
-         Ma il Carmelo è sacrificio, umiliazione, nascondimento…
-         Sì, ma se tutto questo si fa per amore, non è forse bello?

     Quando si entra al Carmelo si lascia il mondo, il mondo che si ha: povero o ricco, grande o piccolo che sia, il mondo lo si deve sempre lasciare, perché il Carmelo è solitudine, clausura recinta da mura, difesa da grate.

     La mattina dell’8 aprile 1920 le porte della clausura del Carmelo di via De Rossi si aprono per Dora e Chiarina che iniziano così “il santo viaggio”: la salita del Monte Carmelo. Baciano la soglia della casa del Signore e la porta della clausura si richiude alle loro spalle. Chi non si da pace, al di là della grata, in parlatorio, è donna Pasqua, la mamma.

     È sera. La prima notte carmelitana. Nella celletta un pagliericcio di foglie di granoturco su tre assi, in capo al letto, la croce. Dalla finestra sul chiostro un cielo di stelle… e di silenzio.  Passano i primi mesi di prova(probandato). Si misura col Carmelo e il Carmelo misura la giovane recluta. Di solito il probandato non è il periodo delle grandi prove, infatti la comunità religiosa guarda la nuova arrivata con molta simpatia, non le affida compiti gravi, anzi le viene incontro con molta comprensione. I rigori della regola vengono piuttosto attenuati dal buon cuore e dalla comprensione della Madre Maestra (Madre Maddalena, fondatrice del Carmelo con M. Angelica Lamberti).

     Dora viene al Carmelo per nascondersi a tutti, in cerca dell’oblio e di se stessa: per perdersi nell’amore di Dio. Sa che perdersi nell’amore esige passare per la croce. Lo sa e l’attende. E l’ora della croce non si fa attender molto. Ebbene, dopo qualche mese, cambia tutto e il chiostro le diviene una prigione:

“Non un velo (allude al velo delle grate) ma un muro di bronzo si elevava innanzi all’anima mia. Tutto era tenebre fittissime per il mio spirito… Il ricordo della mia casa, l’affetto dei miei cari, la pace del mio cuore che pareva completamente bandita. Soffermarmi in coro, pregare in cella, rimirare il chiostro era un vero martirio. Anche in refettorio tutto mi disgustava. Mi domandavo dov’era finita quella brama, che mi aveva tanto tormentato, di farmi religiosa; dove lo slancio per il buon Dio… dove l’ideale del Carmelo”.

     Com’è possibile tutto questo? Cosa fa Dora? Va dalla Madre Maestra e apre la sua anima. La Madre Maddalena l’ascolta attentamente e, alla povera Dora, inginocchiata davanti a lei in cerca di luce, non porta luce ma oscurità più profonda:
“Rispose che avevo sbagliato vocazione, che era stato un vero inganno entrare al Carmelo, che il tenore della vita del Carmelo non si confaceva all’anima mia, e che era inutile persistere nell’errore”.

     Dora, quindi, pensa di uscire. La Madre Priora, Angelica Lamberti, non osa prendere una decisione senza prima interpellare il Generale dell’Ordine, il quale era passato per il monastero l’estate precedente. Il Generale, interpellato per il caso di dora, deve aver notato differenza di pareri nella Madre Priora e nella Madre Maestra, e conoscendo che in noviziato esiste  “l’angelo”, consiglia la Madre Priora di interpellarlo: “Prima di prendere una decisione, interroghi l’angelo del noviziato. La suora è obbligata in coscienza a riferire sul caso”.

     L’angelo è Suor Maria Emmanuela, la quale dice alla Madre Priora: “Nostra Madre, dia il santo abito a Teodora, perché le darà tante consolazioni e vedrà quale santa religiosa diventerà quell’anima”.

      Al Capitolo seguente, Teodora viene proposta per la vestizione e viene accettata a pieni voti. Ma per molto tempo la Madre Maestra, non comprendendola, dimostrerà freddezza verso di lei. In fondo, il desiderio di appartenere a Dio, di seguire Cristo è sempre vivo nel cuore di Dora. La vestizione, la presa d’abito, è l’inizio della vita religiosa. Così, la mattina del 24 novembre 1920, la postulante carmelitana Teodora Fracasso, vestita da sposa, scende in chiesa per l’incontro con Colui che l’ha voluta per sé. Terminata la Santa Messa, in processione, le carmelitane conducono al vescovo la giovane sorella per l’inizio della vestizione. Viene benedetto l’abito religioso. Si inginocchia davanti al vescovo, il quale impugna le forbici e recide le trecce fluenti. È il 24 novembre, giorno in cui allora la Chiesa festeggiava san Giovanni della Croce, il dottore della “notte oscura”, è proprio lui ad introdurla nel Carmelo, a rivestirla del suo abito.

     San Giovanni della Croce deve aver visto la lotta interiore e la volontà di questa sua piccola figlia. Anche lui, quando venticinquenne incontrò per la prima volta la Madre Teresa, stava meditando di lasciare il Carmelo per entrare nella Certosa. La Madre Teresa parlò, e nel cuore del “piccolo Seneca” si riaccese la speranza, che rinnovò il Carmelo e fece di lui non solo il cantore della “Notte oscura”, ma del “Cantico spirituale”, della “Fiamma viva d’amore”, dell’unione con Dio.

     Oggi san Giovanni della Croce, prende per mano questa bambina del buon Dio, incontrata nella “notte”; che crede nell’amore di Dio e si fida di Lui, che cerca Dio solamente e vuole essere dimenticata e dimenticarsi per perdersi nell’amore. Ha una sola incertezza, un solo timore: che il Carmelo sia troppo arduo per lei, così bambina. Il Carmelo è anche per i piccoli, o soltanto per i grandi? E attende la risposta da Dio che le ha tracciato la via e le ha aperto le porte del Carmelo.


     Da ora Teodora Fracasso si chiamerà Suor Elia di S. Clemente (Clemente in omaggio a P. Clemente di Venezia, un venerato padre carmelitano del tempo). Teodora – dono di Dio – prende un nome altamente qualificante: Elia. Elia è il profeta del monte Carmelo, che visse al cospetto di Dio; che sull’Oreb vide la gloria del Signore nel soffio del venticello leggero. Era nello sconforto, il profeta, quando udì la voce del Signore e lo sentì passare. Poi riprese il suo cammino, e finalmente fu rapito in cielo in un turbine di fuoco. 
La nuova Elia, la giovane ventenne di Bari, è anche lei nello sconforto. Sta passando per lei l’uragano ma non è il Signore, il Signore lo trova nel silenzio, all’ombra dell’altare, ne ha respirato la presenza fin da bambina, ed oggi Giovanni della Croce la prende per mano e la conduce, attraverso la notte, fino al suo ultimo giorno.

Angela Parisi ocds  (3- continua)

domenica 14 febbraio 2016

Suor Elia raccontata ai laici (2)


S'inizia la sua amicizia con Dio

Presto la famiglia (di Dora n.d.r.) si trasferisce in una nuova abitazione in Via Piccinni che rispetto alla precedente aveva un ampio giardino con belle aiuole di fiori ed alberi da frutto. Quel che ci voleva per i bambini. Presto il giardino diviene il luogo preferito per gli svaghi di Dora. Non lontano da via Piccini, c’è la scuola delle Suore Stimmatine che Dora frequenterà e dove c’è anche un laboratorio di cucito e di ricamo, che è quanto più adatto per Dora. Dai cinque ai sette anni Dora viene ammessa come alunna interna, poi continuerà a frequentare le classi elementari come semiconvittrice. La scuola segna per Dora il primo distacco, considerato che è una bambina molto sensibile e molto affezionata alla famiglia e al suo giardino.

La sua amica di gioco è la sorellina, più piccola di un anno, Dominichina “Nenenna” con la quale divide ogni momento. (Entrerà dopo anche lei al Carmelo col nome di suor Celina). Nenenna ha per Dora un’ammirazione senza limiti. La chiama “l’agnelletta preferita di Gesù” e tale la riconosce. A volte Dora se ne va con delle compagne più vivaci a giocare e saltare con loro, a rincorrersi nel giardino e Nenenna, in disparte, quando la vede passare le dice: “Il Pastore cerca la sua agnellina, l’hai vista tu?”. E Dora intuisce subito e con garbo si ritirerà. Nenenna comprende quello che sta accadendo alla sorella. Spesso le due sorelline si raccolgono nella camera al buio, a pensare a Dio, a parlare di Dio.

Ed arriva il giorno della sua Prima Comunione. Suor Angelina Nardi, stimmatina, la prepara a questo evento per ricevere l’Ospite divino. E le dice: “L’anima è un santuario, il santuario di Dio, dove Lui dimora. E come nella Chiesa vi è il tabernacolo e nel tabernacolo una pisside dove si conserva Gesù Eucaristico, così nell’anima c’è un punto più intimo dove il Signore viene ad abitare quando lo riceviamo nella Santa Comunione. La pisside dell’anima è il cuore dove nasce l’amore, e dove il Signore riversa la sua vita nella nostra e il suo amore nel nostro amore. Bisogna, allora pulire bene l’anima da ogni piccola colpa, e fare del cuore una pisside d’oro, impreziosendola di tante virtù e di tanti piccoli sacrifici”. Dora comprende come lei stessa annota nei suoi scritti che: “il dolce Gesù, entrando in un cuore puro non vi sarebbe più ripartito. E ciò mi indusse a fare una confessione generale di tutta la mia vita”. Dora ha 10 anni e scrive dopo la Confessione: “Mi sentii purificata e mondata dal sangue di Gesù! Non potrò mai dire di quale pace fu inondata l’anima mia”. La preparazione alla Prima Comunione dura dieci giorni con gli esercizi spirituali.

Una mattina la Direttrice parla dell’amore di Gesù per i bambini: “Li amava tanto che si è fatto bambino anche Lui per vivere accanto a voi”. Dora ne rimane colpita e così le viene in mente l’idea di offrire la sua amicizia a Gesù Bambino: “Caro Gesù, tu che ami tanto i bambini, che lasciasti il Cielo per venire a vivere con noi, accetta la mia amicizia, fatti mio amico; e io ti prometto di lasciare tutte le mie compagne e di venire sempre da te. A te solo dirò tutti i segreti del mio cuore”.

Nella notte che precede la sua Prima Comunione, Dora vede in sogno S. Teresa di G. B. che le predice il suo futuro di carmelitana con il nome di suor Elia e che morirà giovane come lei. Questo ricordo lo si trova in uno dei suoi diari, scritto in monastero. Di questo sogno Dora non ne parla a nessuno e se lo porterà nel cuore fino a quando un padre dominicano non le dirà: ”Signorina, lei sarà Carmelitana Scalza”. L’8 maggio del 1911 Dora fa la sua Prima Comunione. Quel giorno non vorrà alcuna festa: le bastano i suoi genitori e i suoi familiari e non vorrà andare, com’è d’uso, dai parenti a baciare la mano ricevere i regalucci. Si rassegna invece ad andare dal fotografo. Per la posa Dora vuole un crocifisso da tenere in mano, ma il fotografo le dice che la croce non si accorda con la Prima Comunione. Ma Dora e Gesù si sono intesi diversamente.
Nel frattempo Dora cresce e si dedica alla sua famiglia, fa da mamma al fratello Nicolino al quale la sera per farlo addormentare le dedica questa preghiera da lei ispirata:

“Angelo di Dio, che sei mia guida eletta,
l’incarico che ti do benigno accetta:
deh! Porta in volo a Gesù mio Dio
questo mio bacio
e digli che lo manda Nicolino.
Nel nome dle Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Il segno della croce e… Sogni d’oro”

Dora non è più convittrice e nemmeno scolara, ma frequenta lo stesso l’Istituto delle Suore Stimmatine per apprendere ricamo e cucito. La scuola è finita presto, con la terza elementare, il lavoro continua con la vita. Aiuterà la famiglia a fare piccoli lavoretti di cucito e ricamo. Ma la sua delizia è trattenersi nella preghiera. Diventa la consigliera di mamma e papà.

Domenichina da bambina subisce un intervento chirurgico a una gamba e costretta per due anni a non uscire di casa, spesso si lamenta col Signore e Dora le fa coraggio e le inculca fiducia, speranza e abbandono in Dio dicendole: “Queste sofferenze saranno le nostre gioie in Paradiso”.

Il padre e don Carlo, lo zio, non si parlano da tre anni. Dora prega e cerca di convincere il papà a far pace, ma è inutile. Un giorno però va a trovare con Domenichina lo zio che è direttore cappellano del cimitero, si inginocchia e gli bacia la mano:

“Zio, ti chiedo scusa per papà e per tutti noi. Perdonaci”. Lo zio si commuove e bacia la nipote. Tornata a casa racconta tutto alla mamma che preoccupata non osa dirlo al marito per le eventuali reazioni. Ma a pranzo è la figlia a prendere l’iniziativa. La pace tornerà tra i fratelli e Dora diviene la consigliera del padre.

Dai 14 ai 18 anni il suo cammino è segnato dall’amore e dalla presenza di Dio. Ha un gruppetto di amiche alle quali si aggiunge Domenichina, l’anima gemella, più che sorella di Dora. Le amiche sono: Rosa Cardinale, di sette anni maggiore di Dora, che sposerà un suo parente; Margherita Signorile, che prenderà il velo nel Monastero delle Carmelitane Scalze di S. Teresa di Bari; Chiara Bellomo, l’amica preferita, che entrerà al Carmelo con lei, lo stesso giorno e Nadia Fittipaldi sua condiscepola dalle Stimmatine che poi sposerà un certo Signor Zanta.

Ed ecco come si svolge la sua giornata: la mattina presto (alle quattro) nella chiesa di san Francesco (quando c’è qualche novena), poi dalle Stimmatine e dopo qualche tempo dedicato alle occupazioni di casa o a vari lavori di cucito o ricamo, recita insieme alla sua famiglia e alle amiche il S. Rosario guidato da donna Pasqua, e infine con le amiche va a San Francesco per la “serotina”, la funzione religiosa serale celebrata in parrocchia. E qui Dora e le amiche si incontrano con le “sorelle” del Terz’Ordine di S. Domenico, del quale è entrata a far parte nel 1915.

La vocazione religiosa di Dora nasce con quel sogno di infanzia, quello della bella Signora che nella casa di campagna attraversa un vasto campo di gigli. Dopo quel sogno, il pensiero di essere monaca non l’abbandonerà più. Soprattutto si va delineando in lei una concezione della vita che solo nell’amore di Dio ha consistenza , mentre tutto passa, che amare significa dimenticarsi. Così nel silenzio della preghiera, custodirà il seme della vocazione, che va affondando le radici nella libertà dell’anima “immersa in Dio”.

Un giorno nella Chiesa di San Francesco un dotto padre domenicano, non di quella comunità, tiene una conferenza alle donne di Azione Cattolica e alla fine, terminata la conferenza, incontra Dora alla quale dice: “Signorina, lei sarà Carmelitana Scalza, nei suoi occhi vedo la vocazione, si dia tutta, buona figliola al Signore!”.

Quel nome “carmelitana” non glielo ha suggerito ancora nessuno. O Dora se lo porta nel cuore e non osa dirlo per prima? Ecco che riemerge il sogno di quando era piccola e vide suor Teresa di G.B. che la chiamò Suor Elia e le predisse che sarebbe morta giovane come lei. Teresa di G.B. non è stata ancora elevata agli onori degli altari, ma va scegliendosi in terra i seguaci della sua “piccola via”. Questo sogno, Dora, non lo ha ancora confidato a nessuno, nemmeno al suo confessore.

Ne parla con i genitori, i quali sono concordi che la figlia entri in un monastero di clausura, ma che non sia fuori da Bari. Dora e l’amica Chiara si affidano alla guida del gesuita padre Gioia che è confessore del Monastero Carmelitano “S. Giuseppe” a Bari, il quale subito riconosce nelle due ragazze i segni della vocazione alla via contemplativa.. Dora dirà alla sorella Domenichina: “Ho trovato la casa in cui potrò ricevere tante grazie da Gesù e farmi Santa!”

Angela Parisi ocds (2 - continua)




sabato 13 febbraio 2016

Suor Elia raccontata ai laici (1)

Perduta in Dio


di  ANGELA PARISI ocds
«Se da oggi nel prato non sarò più né vista né trovata,dite che son smarrita, che essendo innamoratami son persa, volendo, e ho guadagnato.»(San Giovanni della Croce, Cantico, 29)

      In questa strofa del Cantico Spirituale  San Giovanni della Croce spiega che l’anima vuol dire a quelli del mondo che se non la vedranno più partecipare alle conversazioni e ai passatempi come era solita fare prima, credano e dicano pure che ella si è smarrita e allontanata da loro; ella lo reputa un bene così grande da desiderare di smarrirsi mentre va in cerca dell’Amato, perché ne è innamorata. L’anima afferma che questo smarrimento è stato per lei un guadagno e che si è perduta di sua spontanea volontà.
 
     Quando tanti anni fa lessi questo libro dedicato a Suor Elia di San Clemente, appunto intitolato ”Perduta in Dio” di P. Alessandro Paolini, ne rimasi affascinata, perché in una semplice anima come quella di Dora prima e di Suor Elia dopo e nelle sue esperienze di Dio notavo che aveva molto in comune con San Giovanni della Croce, santa Teresa di Gesù e soprattutto con Santa Teresa di G.B. Il libro non è altro che  la biografia di una ragazza di Bari, sconosciuta in vita ed acclamata dopo la morte, un libro costruito utilizzando i suoi scritti di pensieri semplici e profondi nello stesso tempo.  

      Suor Elia (nome poco femminile), il desiderio di perdersi in Dio lo porta nel cuore fin dall’inizio della sua vita religiosa. Lei stessa scrive: “L’anima come un granellino di sabbia si perde in quell’abisso di grandezze… come una gocciolina d’acqua si perde nell’abisso del mare”.

     Ecco un nuovo fiore che spunta nel giardino meraviglioso del Carmelo. Santa Teresa di Gesù Bambino dice in Storia di un’anima: «Dio ha voluto creare i grandi Santi che possono essere paragonati ai gigli e alle rose, ma ne ha creati anche di più piccoli, e questi si debbono contentare di essere margherite e violette destinate a rallegrare lo sguardo del Signore, quando Egli si degni di abbassarlo su di loro. La perfezione consiste nel fare la Sua Volontà. Nell’essere come vuole Lui».

   Suor Elia è una nuova violetta dall’anima pura, innamorata di Dio, la quale ha la consapevolezza di essere avvolta dal suo immenso e luminoso Amore.

1)    La sua vita  è un volo. Un volo alla ricerca di Dio.
2)    Volo verso il Cielo. “Passo per il Carmelo; la mia patria è il Cielo”.
3)   Un volo nella gioia: “Elevata al di sopra di ogni bassezza di quaggiù, spicca il suo rapido volo verso l’azzurro… vive perduta in Dio che forma tutta la sua felicità”.
4)    Attraverso la sofferenza, incontrata, accettata, amata.
5)  Nell’oblio di tutto e di tutti: “Fa’, o mio Dio, che il lavoro dell’anima mia si compia nell’ombra, lontano dagli sguardi, si compia nel silenzio, lontano dagli applausi e si compia nell’oblio della mia povera persona, perché sia gradito a te, mio Dio”.
6)   Immolata per i fratelli: perché l’amore del prossimo è esigenza e riprova dell’amore per Iddio. Una contemplativa non può essere egoista, e l’oblio è dimenticanza di sé per donarsi a Dio e agli altri, come richiede l’amore.

     Ella si dona, con l’umile gesto di chi dona un fiore: ”Sfogliate, o mio Dio, se vi aggrada, la mia giovane esistenza, stritolate nel dolore le più intime fibre del mio cuore, affinché dall’abisso della mia polvere, dal mio totale annientamento, si elevi al cielo l’incessante grido: Sitio! Ho sete, Gesù, di anime”.

 
     Un giorno – speriamo – che la Chiesa la proclamerà Santa; noi nel racconto della sua biografia la incontreremo come il «sorriso di Dio».

     Teodora (Dora) Fracasso nasce a Bari in un appartamento della Piazza S. Marco  il 17 gennaio 1901, da Giuseppe Fracasso e Pasqua Cenci, i quali avranno nove figli: Prudenzina, la primogenita, Anna, morta a sei anni, Teodora, la futura Suor Elia, Domenichina, la sorella prediletta che la segue al Carmelo col nome di Suor Celina e Nicolino; gli altri quattro figli muoiono in tenera età. La famiglia Fracasso è una famiglia veramente cristiana. Il 21 gennaio, festa di sant’Agnese, Dora viene battezzata nella chiesa di San Giacomo, dallo zio, Don Carlo Fracasso.

     Riceve il sacramento della Cresima nel 1903 a due anni appena. (All’epoca era così d’uso). A casa Fracasso il cristianesimo penetra nel tessuto della vita quotidiana: si recita tutte le sere il S. Rosario, dove tutti, piccoli e grandi, sono riuniti e la preghiera rende più evidente la presenza del Padre e della Madonna. Secondo la signora Pasqua il suo primo compito è educare i figli che il Signore le ha affidati. La mamma  parla a Dora dell’anima tra i tre o quattro anni:

«Ricordo ancora la grande impressione che ricevetti la prima volta che sentii parlare dell’anima. Pensavo e ripensavo alla sua bellezza e tempestavo la mamma di domande: ”Mamma, le bimbe buone vedono l’anima loro? Tu hai mai visto la tua? Com’è? Se non faccio capricci potrò vederla?” La mamma mi rispondeva: “Piccina mia, il velo di questo corpo ce la nasconde. Essa è dentro di noi e solo dopo la morte potremo vederla. É tanto bella”. I miei occhi, immobili sulle sue labbra, bevevano la luce della verità e scolpivano il mio cuore».

     La mamma le parla soprattutto di Dio, della Madonna, e il cuore della piccina si apre al desiderio di conoscere, o meglio vedere Dio  e la Madre di Gesù, la “Mamma di tutti”, come dice mamma Pasqua.

     In un giorno di maggio forse del 1905, quando Dora ha appena quattro anni e mezzo, fa un sogno che avrà un valore determinante nella sua vita. È una notte di maggio, si trovano nella loro casetta di villeggiatura in campagna. Verso l’alba la mamma viene svegliata dalle grida di Dora: “Mamma! Non c’è più…, se l’è portato via”. Ed ecco il suo racconto:

«Avanti alla nostra casetta, verso il viale del cancelletto, si stendeva un vasto campo di gigli. Una giovane Signora tanto bella, con gli occhi scintillanti come stelle, lo attraversava, portando nelle bellissime mani una falce d’oro con la quale toccava delicatamente i gigli a destra e a sinistra, ed essi, a quel tocco, dolcemente si chinavano sui loro steli. Verso il termine del campo la bella Signora, deposta la falce, si è chinata,  ha strappato dalla terra un piccolo giglio, lo ha guardato, lo ha rimirato un bel pezzo e poi… stringendolo con amore è scomparsa».

     La mamma ascolta commossa. Terminato il racconto, solleva la bambina, la bacia affettuosamente e le dice: “Era la Madonna che stringeva l’animuccia tua al suo cuore. Hai fatto tanti fioretti in questi giorni del mese mariano e Lei si è fatta vedere mentre dormivi”.


     Continua il racconto: «Al mattino, senza più salti né grida, cercavo di appartarmi dalla sorellina per essere sola e ripensare alla bella Signora… Credetti di vedere in essa un’immagine della regina del Cielo e, giungendo le mani, la pregai con le lacrime agli occhi: Mia buona Signora come eri bella! La mamma mi ha detto che tu sei la Regina degli Angeli, la Signora del Cielo. Come voglio bene a te ! A te mi offro! Quando sarò grande sarò monaca». «Era il primo atto d’amore che il mio piccolo cuore faceva a Gesù e alla Rosa mistica».

venerdì 12 febbraio 2016

Suor Elia, raccontata ai laici


Da domani il blog ospiterà un profilo della beata Elia, elaborato da Angela Parisi, ocds, presidente delle comunità secolari del territorio romano (Provincia di San Giuseppe), nel periodo in cui aveva l'incarico di formatrice della propria fraternità ocds. Ringrazio la carissima Angela e quanti vorranno contribuire ad arricchire queste pagine on line, dimostrando quanto possa anche oggi, in un mondo laico e troppo secolarizzato, una vita spesa per amore di Dio e del prossimo.
ste.db

giovedì 11 febbraio 2016

PRESENTAZIONE. Di chi parlerà questo blog?

La Beata Elia di San Clemente è una carmelitana scalza vissuta nel monastero San Giuseppe a Bari, città in cui era nata il 17 gennaio 1901. Proprio in quell'anno sorgeva il monastero che vent'anni dopo l'avrebbe accolta. A lei è dedicato questo blog per il decennale della sua beatificazione.
Lo scopo non è solo quello celebrativo, ma quello di presentare a un mondo in cui la scelta della clausura sembra inconcepibile una bella testimonianza. Non solo. Bello è stato il suo cammino verso la meta claustrale, il rapporto con la mamma, con la sua terra, con la fede e con il prossimo.
Un grande esempio anche il modo con cui ha sopportato mortificazioni, calunnie e la malattia. Non occorre essere una monaca di clausura per attingere alla fonte di tanta forza e serenità: Dio.
La scelta del titolo sintetizza la sua vita: Teodora Fracasso, questo il suo nome d'origine, è una ragazza piena di vita, innamorata del mare, della natura, dei fiori, delle stelle.
E' in un giardino, fra i gigli, che le è annunciata la vocazione. E ha solo tre anni. Le sue pagine autobiografiche pubblicate dalle edizioni ocd e curate da Giuseppe Micunco svelano il cammino della sua giovane anima. Nei suoi scritti, ricorda la gioia che invadeva il suo cuore quando la mamma annunciava una gita al mare ("avrei voluto volare pel gran contento che sentivo"). Cresciuta in una famiglia numerosa (nove figli) guidata da genitori "veramente santi" (Giuseppe Fracasso e Pasqua Cianci). Dora con grande naturalezza scopre la propria vocazione e alla fine si sradica dal proprio habitat privilegiato per nascondersi in Dio. Il mare e i fiori tornano spesso nei suoi scritti, ma solo per descrivere il suo rapporto con il Signore.
Scrive infatti: "Il cielo, le stelle, il mare, i fiori, la musica, fin da piccolina formavano il mio incanto...Ma soprattutto mi rapiva il bel cielo stellato e l'immensità del mare...l'uno mi diceva della bontà di Dio, L'altro dell'infinita sua misericordia"
Abbiamo scelto l'11 febbraio come data di nascita del nostro blog perché nel 1925 pripro nel giorno della festa della Madonna di Lourdes, Suor Elia fa solenne professione e prende il velo.
Lasciamoci contagiare dalla sua  fede e dal suo stupore.
Stefania De Bonis




L'inno "Beata Elia, Piccola Ostia"




Qui sotto il  testo dell'Inno dedicato alla Beata Elia.
Per il testo ringrazio Franco Schino ocds della Fraternità di Bari che lo ha inviato perché tutti lo potessimo condividere.


Un film. Elia di San Clemente


Quello che potete vedere qui è il trailer caricato su youtube del film di Elio Scarciglia con il dolcissimo volto di Marina Alemanno. Musica Originale di Salvo Messina, ispirato alla vita della Beata Elia di San Clemente, prima beata di Bari e prima carmelitana scalza beata della Provincia Napoletana dei Carmelitani Scalzi (due anni dopo sarà beatificata a Napoli, Suor Giuseppina di Gesù Crocifisso). Per avere informazioni sulla pellicola collegarsi al sito del regista (www.elioscarciglia.it)

Una strada a suo nome

Il 3 novembre 2007  un tratto di strada di via De Rossi, compreso tra il corso Italia e la via Crisanzio, è stato intitolato alla Beata Elia di San Clemente (a lato la targa). L'iniziativa nacque all'indomani della beatificazione e fu proposta da un gruppo di fedeli della parrocchia di Santa Croce, a pochi passi dal monastero delle carmelitane scalze che aveva ospitato suora Elia dal 1920 al 1927, gli ultimi sette anni della sua vita.  All’interno dell’ edificio dove anche oggi risiedono le suore di clausura, è annessa la chiesa di San Giuseppe, che custodisce l’urna contenente il corpo della Beata nata nel borgo antico di Bari (vedi foto qui sotto).